Il senso della Plenaria

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Colloquio con S.E. Mons. Vincenzo Zani, Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica, sulla Plenaria del 2014.

Che tappa rappresentava la Plenaria che si è appena conclusa nell’attività della vostra Congregazione?

Quali sono oggi dunque i problemi e le sfide che l’educazione cattolica deve affrontare?

Papa Francesco nel discorso che vi ha rivolto ha sottolineato ‘il valore del dialogo nell’educazione’, citando il vostro recente documento sul dialogo. Perché è un tema così urgente e come si traduce concretamente questa sfida? 

Quindi, l’educazione cattolica continua a mantenere un ruolo fondamentale, pur in società che ormai sono caratterizzate da contesti sociali e culturali sempre più diversi?

Che tappa rappresentava la Plenaria che si è appena conclusa nell’attività della vostra Congregazione?

Seguendo la prassi tradizionale, l’Assemblea Plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica si svolge ogni tre anni. Dopo l’ultima, che si è tenuta nel 2011, quella delle scorse settimane è stata caratterizzata da molti elementi di novità. È stata la prima Plenaria effettuata durante il pontificato di Papa Francesco che, proprio sui temi dell’educazione è già intervenuto più volte, compresa la recente Esortazione apostolica Evangelii gaudium. Inoltre, due terzi dei membri sono nuovi e sono stati nominati da Papa Francesco il 30 novembre scorso, mentre gli altri sono stati rinnovati. Attualmente la composizione della Plenaria rispecchia più di prima l’universalità della Chiesa, con Cardinali e Vescovi che rappresentano tutti i continenti ed arricchiscono il lavoro della Congregazione, portando la voce delle numerose scuole e università cattoliche presenti ovunque. In più, è la prima volta che i Membri del Dicastero si sono riuniti dopo la promulgazione del Motu proprio Ministrorum institutio, del 16 gennaio 2013, con cui Papa Benedetto XVI ha deciso di trasferire la competenza dei Seminari e la Pontificia Opera per le Vocazioni Sacerdotali alla Congregazione per il Clero. È stata, pertanto, l’occasione per offrire la sintesi del lavoro sui seminari, svolto dalla Congregazione fino ad un anno fa, e concentrare l’attenzione piuttosto sull’ambito dell’educazione cattolica nelle scuole e nelle università. A questo settore si aggiunge un nuovo campo di servizio e cioè quello che concerne i rapporti con gli “organismi internazionali’. Questo nuovo ufficio del Dicastero si è sviluppato soprattutto negli ultimi anni e consente di curare le relazioni con realtà come l’Unesco, il Consiglio d’Europa e altre organizzazioni internazionali interessate all’educazione e all’università. Ma un altro elemento significativo di questa Plenaria è stato lo sforzo di aprire uno sguardo prospettico sul futuro per tentare di disegnare nuove strategie del nostro lavoro, cogliendo l’occasione di due ricorrenze ormai prossime: il cinquantesimo della Dichiarazione conciliare Gravissimus educationis e il venticinquesimo della Costituzione apostolica Ex corde ecclesiae sulle università cattoliche nel mondo. Non si vuole che questi anniversari si risolvano in momenti semplicemente celebrativi, ma diventino opportunità per rilanciare nei prossimi anni i contenuti di due documenti fondamentali per le istituzioni educative cattoliche. Data l’importanza di questa prospettiva di lavoro per il futuro, si è voluto anzitutto offrire ai Padri una visione globale su tali argomenti e soprattutto raccogliere i loro suggerimenti in merito. Pertanto, per la prima si è svolto un forum, nella forma di una audizione e discussione aperta, sotto il titolo ‘Educare oggi e domani’; ad esso ha preso parte un consistente numero di esperti – Rettori delle pontificie università romane, consultori e altri specialisti del settore – che hanno aiutato a mettere a fuoco le sfide più importanti che le istituzioni educative cattoliche sono chiamate ad affrontare.   

Quali sono oggi dunque i problemi e le sfide che l’educazione cattolica deve affrontare?

Per certi aspetti ci troviamo dinanzi a problemi e sfide che da sempre hanno caratterizzato l’ambito educativo, tuttavia ve ne sono anche di nuovi e per certi versi inediti. Benedetto XVI durante il suo pontificato richiamava spesso il tema dell’‘emergenza educativa’ e Papa Francesco sottolinea il fatto che l’educazione è parte integrante della ‘nuova evangelizzazione’. Per quanto riguarda gli studi superiori, oggi notiamo che tutte le istituzioni accademiche sono caratterizzate da vari fattori tra cui, per esempio, quello della internazionalizzazione. Cresce, infatti, il numero di giovani che lasciano i propri paesi per andare a studiare presso università straniere o di altri continenti, incentivando così la mobilità degli studenti e dei docenti. Anche nelle 1.865 università cattoliche, distribuite in tutto il mondo – di cui quasi 500 sono facoltà ecclesiastiche che rilasciano i titoli a nome della Santa Sede – si registra questo fenomeno crescente. Un altro elemento che cresce con la crisi economica attuale, è il rapporto fra università e mondo del lavoro. Gli studenti scelgono i percorsi di studio in vista degli sbocchi professionali e della concreta spendibilità dei titoli accademici. E l’università è investita della responsabilità di preparare leadership socio-economiche nonché i protagonisti per l’ambito della ricerca scientifica e della cultura. Un tema, poi, che nell’orizzonte internazionale odierno viene molto enfatizzato è quello di garantire la qualità dei sistemi accademici, attraverso precisi criteri e strumenti di valutazione, allo scopo di valorizzare la responsabilità e la trasparenza delle singole istituzioni, oltre che verificare gli investimenti economici pubblici e privati effettuati. Anche la Santa Sede da alcuni anni ha istituito l’AVEPRO, l’agenzia per la valutazione e la promozione della qualità, in particolare per gli studi ecclesiastici, e sta operando egregiamente con i propri organismi. Le università cattoliche, che per tali aspetti fanno riferimento alle agenzie create nei paesi in cui operano, chiedono di essere aiutate ad assicurare l’ispirazione cristiana, dovendo offrire il proprio servizio accademico in contesti di accentuato pluralismo culturale e religioso. Tutti questi fattori descritti, come anche l’uso sempre più diffuso degli strumenti informatici e delle risorse online, pongono anche la sfida della ‘governance’ sia per assicurare l’autonomia delle istituzioni accademiche sia per evitare la crescente eterogeneità di modelli universitari che si sta verificando sotto la pressione della società, la quale chiede agli atenei funzioni e servizi nuovi accanto a quelli tradizionali. Occorre, in tale senso, preparare i responsabili delle università a saper dirigere istituzioni che oggi si sono fatte più complesse, nel rispetto della loro vocazione originaria. Per le università cattoliche la sfida più grande è di rimanere fedeli alla propria identità entrando, al contempo, con coraggio nei processi di cambiamento in atto. La Costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae dice, a tale proposito, che occorre “avere il coraggio di dire verità scomode, verità che non lusingano l’opinione pubblica, ma che pur sono necessarie per salvaguardare il bene comune della società” (n. 32). Anche le 210 mila scuole cattoliche, distribuite in tutti i continenti e frequentate da circa 60 milioni di studenti e studentesse si trovano a dover affrontare non poche sfide. Ad esse affluiscono studenti che per oltre il cinquanta per cento non sono cattolici né cristiani o, in molti casi, appartengono all’Islam, ad altre religioni e a differenti nazionalità. La scuola cattolica è scelta in genere per la qualità del proprio progetto educativo, ispirato ai valori evangelici, e per la serietà dell’insegnamento. È ovvio che essa da una parte deve evitare di rinchiudersi in un “identitarismo” fine a se stesso e d’altra parte è consapevole dei rischi che derivano dal perdere di vista le ragioni della propria presenza. Il contributo dei Padri nella Plenaria ha evidenziato il ruolo importante delle scuole cattoliche che sono dei veri e propri avamposti della Chiesa, soprattutto in tante zone del mondo dove i cattolici sono una estrema minoranza.  Essa, pertanto, non può accontentarsi di una generica ispirazione cristiana e di valori umani, ma ha la responsabilità di operare attraverso un progetto educativo che mostri in modo concreto e visibile i fondamenti antropologici e le potenzialità pedagogiche ed educative del messaggio cristiano che passa attraverso una scuola aperta a tutti, in cui la pratica del dialogo non è un espediente tecnicistico, ma diventa modalità profonda di relazione tra persone con identità, culture ed appartenenze religiose diverse.    

Papa Francesco nel discorso che vi ha rivolto ha sottolineato ‘il valore del dialogo nell’educazione’, citando il vostro recente documento sul dialogo. Perché è un tema così urgente e come si traduce concretamente questa sfida?

Si tratta di un tema molto rilevante che è stato affrontato già nelle due precedenti riunioni Plenarie del Dicastero. Negli ultimi decenni il numero delle scuole cattoliche è aumentato considerevolmente soprattutto in paesi dove i cattolici sono minoranza e le scuole sono frequentate in certi casi dal 90% di studenti non cristiani e appartenenti ad altre religioni. In queste strutture educative il dialogo si pone come una questione ineludibile. Il dialogo è già una dinamica che si inscrive nel processo educativo in quanto tale, ma quando la diversità culturale e religiosa è così marcata, il dialogo diventa necessario, ancorché arduo e difficile, allo scopo di promuovere la convivenza delle diversità, senza abdicare alla propria identità. È un tema sul quale, dopo aver raccolto molte sollecitazioni, il Dicastero ha organizzato nel 2008 un seminario di studio con 70 esperti provenienti da tutto il mondo, per esaminare le esperienze più significative in merito, tra cui i casi delle scuole cattoliche del Libano, della Bosnia, dell’Irlanda del Nord e degli indios in Ecuador. Sulla base dell’analisi di questi percorsi pedagogici è stato elaborato un documento, sottoposto e approvato dalla precedente Plenaria e pubblicato nel novembre scorso. In esso, il dialogo è considerato una dimensione indispensabile da offrire nei percorsi formativi affinché i giovani apprendano strumenti teorici e pratici che consentano loro una maggiore conoscenza degli altri e di sé, dei valori propri e delle altre culture. Nella cultura pluralistica di oggi spesso emergono approcci che non possono essere condivisi. Si trova prima di tutto quello della neutralità relativista che sancisce l’assolutezza di ogni cultura nel proprio ambito, impedendo di esercitare un criterio di giudizio meta-culturale e di giungere a interpretazioni universalistiche. Esso si fonda sul valore della tolleranza, ma si limita ad accettare l’altro senza implicare un dialogo che potrebbe condurre ad uno scambio e al riconoscimento nella reciproca trasformazione. Si constatano poi molte esperienze in cui prevale un approccio ‘assimilazionista’, dove una cultura si sente forte e rimane indifferente verso un’altra cultura, magari minoritaria, e tende ad assorbirla, a non rispettarla nei suoi valori portanti. Dinanzi a questi approcci estremi, è chiaro che la visione cristiana dell’educazione va nella direzione di un dialogo interculturale in cui le persone sono educate ad accogliere e gestire le differenze, sempre più presenti nelle nostre società, ma a trovare in esse i punti di contatto e relazione, per creare ambienti culturali in cui sia possibile la convivenza nel rispetto della specifica identità di ciascuno. In questa direzione risulta importante aiutare le persone ad andare alle radici della cultura, ai nuclei vitali e autentici che generano identità sane e lì mettere in contatto la propria identità con quella altrui, diversa. Solo in un incontro che avviene alla radice più profonda e viva dell’identità e appartenenza ad una cultura si può incontrare il seme dei valori autentici e far scaturire il rispetto e l’apertura reciproca, producendo magari anche un cambiamento, come spesso avviene. Quindi, l’educazione al dialogo è un passaggio essenziale e fondamentale per costruire una civiltà dell’accoglienza, del rispetto e della solidarietà. L’educazione, in questo senso, è uno strumento indispensabile per costruire la pace e il bene comune.

Quindi, l’educazione cattolica continua a mantenere un ruolo fondamentale, pur in società che ormai sono caratterizzate da contesti sociali e culturali sempre più diversi?

È proprio così e direi, anzi, che nel nostro tempo, proprio perché le sfide sono più grandi e complesse, come ha detto il Papa, la Chiesa deve investire molto di più nell’educazione. È questo un invito che Papa Francesco ha ripetuto ai Vescovi dell’America Latina, durante il suo viaggio a Rio de Janeiro nel luglio scorso, ai Superiori maggiori delle Congregazioni religiose o nelle varie udienze a gruppi di studenti e ha raccomandato anche nel discorso alla Plenaria. Si registra una crescente richiesta di aprire scuole e università cattoliche, soprattutto nelle aree geografiche dell’Africa e dell’Asia. Ma anche in contesti culturali tradizionali come i paesi occidentali, dove le società sono frammentate e c’è confusione di valori o ignoranza religiosa, emerge una forte domanda di avere punti di riferimento, orientamenti più chiari per il futuro. In tale contesto i genitori e le famiglie sono preoccupati per i propri figli e chiedono più educazione. Per la Chiesa questo è un momento importante e, come hanno sottolineato i Padri della Plenaria, tra le modalità per attuare la nuova evangelizzazione un ruolo importante è proprio quello dell’educazione e della formazione religiosa attraverso le istituzioni scolastiche e accademiche.

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